La galleria A arte Invernizzi ha inaugurato giovedì 19 settembre 2019 la mostra Colloquium. Günter Umberg e l’arte italiana, occasione per la quale l’artista tedesco si fa anche curatore, ideando un percorso espositivo nel quale le sue opere sono poste in relazione, attraverso un dialogo ideale, con quelle di alcuni dei principali protagonisti dell’arte italiana degli ultimi decenni.
L’esposizione è concepita come uno spazio da percorrere, all’interno del quale le opere entrano in rapporto con l’ambiente che le circonda, in virtù del valore fisico della pittura stessa che le costituisce.
In occasione della mostra è stato pubblicato un volume contenente un saggio di Paolo Bolpagni, frutto di un lungo dialogo con l’artista, nel quale sono indagati i legami tra i potenti monocromi di Günter Umberg presentati negli spazi espositivi e le opere di Rodolfo Aricò, Carlo Ciussi, Gianni Colombo, Dadamaino, Riccardo De Marchi, Piero Dorazio, Lucio Fontana, Mario Nigro, Angelo Savelli, Salvatore Scarpitta, Nelio Sonego ed Emilio Vedova con l’obiettivo di instaurare rimandi visivi e concettuali.
Come scrive Paolo Bolpagni, “la pittura di Günter Umberg crea esperienze percettive, e al contempo porta con sé implicazioni filosofiche. I suoi particolarissimi monocromi non occupano gli spazi, ma li attivano, conferendo loro senso e concentrazione. Si tratta di opere che, accostate in relazione a un luogo ben preciso, e in questo caso anche a lavori di altri autori individuati sulla base di rispondenze, affinità e “parentele” espressive, generano organismi ricchi di risonanze, che costruiscono l’ambiente e lo definiscono”.
La mostra testimonia anche la profonda conoscenza che Günter Umberg sviluppò della scena artistica italiana a partire dagli anni Settanta, scoprendo, anche grazie al tramite di Klaus Honnef, i testi e le idee di critici come Filiberto Menna e Giulio Carlo Argan e le opere di esponenti della pittura italiana.
Ciò che in particolare lo colpì, già delle ricerche aniconiche dell’immediato dopoguerra, fu il carattere lirico e poetico dell’atteggiamento degli artisti italiani, unito alla loro attenzione al materiale quale elemento espressivo. Per Umberg sarà poi importante la “scoperta” degli statunitensi (fondamentale un soggiorno a New York negli anni Ottanta): in artisti come Donald Judd e Carl Andre trovò libertà, concretezza e un’attitudine completamente lontana da ogni pretenziosità, che costituì una lezione di solidità e ordine. Tutte queste suggestioni si sono condensate in una visione personalissima, fortemente speculativa ma al contempo ancorata alla materialità della tecnica pittorica, che raggiunge in lui vertici di virtuosismo che lo possono avvicinare ai maestri tardo-medievali che tanto ama, tuttora studiati e meditati con passione. Per Günter Umberg, alla base di ogni ideazione artistica vi è un dialogo: con lo spazio, con l’osservatore, con le altre opere (non soltanto proprie, come questa mostra documenta), con il passato e il presente, con il mondo e la realtà, cosicché l’esperienza estetica e percettiva non risulta mai chiusa e conclusa, ma muta, evolve e si anima in una processualità esperienziale incessante.
L’altro fattore essenziale è quello della “costruzione”: «bauen das Werk, bauen den Raum», «costruire l’opera, costruire lo spazio», in una progressiva strutturazione che trae linfa da innumerevoli spunti.
Questa è l’utopia di Umberg: un sogno per il futuro della pittura.